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L'OSTEOPOROSI

24 settembre 2024

Definizione

Con il termine osteoporosi, che deriva dal greco osteon (osso) e pòros (buco o cavità), si intende un disordine scheletrico avente origine multifattoriale caratterizzato da una riduzione della densità e resistenza ossea.

Questa condizione provoca una deplezione delle componenti chimiche dell’osso, che ha come conseguenza la riduzione della densità minerale ossea, ed alterazioni della struttura architettonica tridimensionale, che rendono l’osso morfologicamente poroso, debole e più sensibile a fratture.

Dal punto di vista chimico, è doveroso precisare che il tessuto osseo osteoporotico non subisce cambiamenti nel rapporto tra la matrice organica ed inorganica, poiché il deficit le interessa entrambe in egual misura.

Dal punto di vista morfologico, le modificazioni strutturali del tessuto osseo si instaurano prevalentemente con l’avanzare dell’età e nel periodo post meno pausale: in queste fasi di vita si assiste infatti ad un progressivo e continuo assottigliamento con conseguente perforazione delle trabecole ossee, che assumono così una configurazione tipica detta a “palizzata”. Questa condizione irreversibile è causata da un aumento dell’attività osteoclastica promossa dal deficit estrogenico che si verifica con l’avvento della menopausa.

L’osteoporosi colpisce maggiormente l’osso trabecolare spugnoso, già di per sé più fragile rispetto all’osso corticale e pertanto più soggetto a indebolimento con il passare degli anni. Le fratture più comuni coinvolgono quindi le aree dello scheletro nelle quali predomina l’osso trabecolare, tra di esse le principali sono le vertebre, il collo femorale e i polsi.

Le fratture a carico delle vertebre rappresentano circa il 50% degli eventi osteoporotici. Tra i pattern di rottura possiamo annoverare: a cuneo, da scoppio e a lente biconcava.

Per quanto riguarda invece la rottura del collo femorale, tale casistica è influenzata da molteplici fattori tra cui l’indebolimento dell’osso, ma anche da fattori che esulano tale patologia quali, ad esempio, il rischio di caduta e la struttura corporea. Tali fratture sono le più pericolose per l’individuo in quanto spesso esse hanno come conseguenza quella di rendere disabile il soggetto colpito, peggiorandone notevolmente la qualità della vita.

Le fratture ai polsi sono considerate meno invasive rispetto alle altre tipologie appena trattate, dal momento che esse provocano un minore impatto in termini di disabilità e salute generale del soggetto colpito.

Andamento della densità minerale ossea nel corso della vita


Il tessuto osseo si configura come un tessuto in costante movimento, esso infatti non è per nulla statico, bensì caratterizzato da continui processi di rimodellamento e rigenerazione. Il rimodellamento, in particolare, è l’esito di processi di riassorbimento e deposizione che coesistono in un equilibrio finemente regolato: la propensione verso uno dei due estremi sposta l’equilibrio in favore di una perdita minerale o di un incremento della densità minerale ossea.

Analizziamo ora due parametri che ci permettono di definire lo stato di salute dell’osso: il BMC (Bone Mineral Content) e la BMD (Bone Mineral Density).
Il primo definisce la quantità di minerali contenuta nelle ossa dello scheletro: tanto più questa risulterà elevata, tanto più sarà elevata la massa ossea e di conseguenza la resistenza e robustezza del sistema scheletrico.
La seconda invece, la densità minerale ossea, è un parametro molto interessante in quanto permette di saggiare la salute dell’osso considerandone la sua densità e valutando quindi la mineralizzazione dell’osso in specifici distretti corporei: grazie a tale indicatore sono stati condotti degli studi e creati degli intervalli diagnostici per l’osteoporosi stessa.
Durante il corso della vita si assiste ad una continua variazione della densità minerale ossea, essa aumenta durante le prime fasi della vita e tende a decrescere con l’avanzare dell’età. L’andamento della BMD è rappresentato in figura.

Analizzando il grafico possiamo individuare tre fasi distinte: incremento, plateau o stabilizzazione e decremento. La prima fase è caratterizzata da un aumento costante della densità ossea, tale processo inizia dalla nascita e termina attorno all’età di 30-35 anni, sia nei soggetti di sesso maschile che in quelli di sesso femminile.

La seconda fase detta di plateau o stabilizzazione insorge attorno ai 35 anni e dura fino ai 40 circa; in tale periodo i processi di deposizione e riassorbimento osseo sono in equilibrio tra loro, determinando un bilancio osseo “in pari” il che significa che la robustezza del tessuto è costante. Tale periodo solitamente coincide con il picco di densità ossea. È curioso osservare come il picco di densità ossea raggiunto dai soggetti di sesso maschile sia più elevato rispetto a quello raggiunto dai soggetti di sesso femminile; in termini numerici il gap si quantifica in una differenza di circa 12% - 15%.

La terza e ultima fase viene definita fase di decremento o demineralizzazione, caratterizzata da una lenta ma costante deplezione e perdita netta di calcio dalle ossa, provocandone un continuo indebolimento con il trascorrere del tempo. Anche in questa fase è doveroso analizzare le differenze tra uomo e donna. Dal grafico si evince infatti una sostanziale diversità tra il tasso di demineralizzazione negli uomini, che rimane pressoché costante e lineare e le donne che subiscono invece un’accelerazione della demineralizzazione ossea a cavallo dell’avvento della menopausa. L’insorgenza della menopausa nei soggetti di sesso femminile si verifica mediamente tra i cinquanta e i cinquantacinque anni di età. Questa accelerazione è dovuta al cambiamento ormonale menopausale in cui si assiste ad una carenza e riduzione di estrogeni, principale causa del repentino riassorbimento.

Se analizziamo queste due differenze, ossia il minor picco di massa ossea unito ad una più veloce deplezione di calcio, è facile comprendere il perché l’osteoporosi colpisca in misura maggiore le donne rispetto agli uomini. Alcuni studi epidemiologici hanno infatti quantificato che l’osteoporosi colpisce circa il 30% delle donne al di sopra dei cinquant’anni, contro il 5% degli uomini di pari età.

Fattori di rischio

L’osteoporosi è una patologia multifattoriale e pertanto non rientra tra quelle patologie la cui eziologia è attribuibile ad una singola causa precisa e ben identificabile. Tra i fattori scatenanti entrano in gioco: sesso, età, genetica, ambiente, comportamento, etnia, BMI (Body Mass Index), abitudini alimentari, fumo, terapie farmacologiche, dieta, consumo di alcolici e stile di vita.

Tra questi aspetti, la dieta riveste un ruolo fondamentale soprattutto nelle prime fasi di vita: un’alimentazione carente in calcio preclude lo sviluppo ottimale e non permette il raggiungimento di un elevato picco di massa ossea. Per tale motivo è importantissimo curare l'apporto di calcio sin dall’età infantile. Un altro componente estremamente importante nonché correlato con la dieta è rappresentato dalla vitamina D, essa è direttamente implicata nella regolazione del metabolismo del calcio.

Diagnosi

La diagnosi dell’osteoporosi viene effettuata grazie all’ausilio di differenti tecniche in grado di misurare e rilevare lo stato di salute dell’osso. Possiamo suddividerle in tecniche che sfruttano l’imaging (raggi x e risonanza magnetica) e tecniche che misurano la concentrazione di marcatori molecolari.

Le prime sono quelle più comunemente utilizzate e sono rappresentate principalmente dalla radiografia tradizionale e dalla DEXA. Entrambe misurano la densità del tessuto osseo in specifici distretti corporei di riferimento, si differenziano per il loro grado di sensibilità: la radiografia tradizionale è in grado di individuare riduzioni marcate della massa minerale ossea mentre invece la DEXA riesce a misurare la densità minerale in modo più fine ed accurato.

La DEXA (dual energy x-ray adsorptiometry) è considerata il “gold standard” tra le metodologie che impiegano i raggi x, essa risulta essere molto precisa e quasi priva di rischi radiologici, l’intensità delle radiazioni non è marcata ed è inferiore rispetto alla radiologia tradizionale. Questo test confronta la "densità" delle ossa del paziente con quelle di un adulto medio. Il risultato di questo rapporto è il cosiddetto T-score, espresso in deviazioni standard (DS), che descrive la densità delle ossa del paziente a livello della colonna e dell’anca e di come questa si allontana da quella considerata normale in un giovane adulto dello stesso sesso e razza. La DEXA viene altresì chiamata più comunemente MOC (mineralometria ossea computerizzata).

Una volta raccolti i dati sulla densità minerale ossa sarà possibile confrontarli con i corrispettivi parametri diagnostici: lo Z-score e il T-score. Lo Z-score viene calcolato come numero di deviazioni standard a partire dalla mediana di individui della stessa età mentre invece il T-score è rappresentato dal numero di deviazioni standard di età corrispondente al picco di densità minerale ossea. L’organizzazione mondiale della sanità, nel 1994, ha stabilito dei criteri diagnostici per l’osteoporosi basati sui valori di Z-score, misurando la densità ossea in due regioni rappresentative del tessuto: le vertebre lombari e il collo femorale.

I valori diagnostici per lo Z-score sono rappresentati di seguito:

Prevenzione

L’osteoporosi è una patologia che si manifesta nella maggior parte dei casi in età avanzata e, nonostante la sua insorgenza tardiva, le condizioni predisponenti lo sviluppo della malattia si instaurano durante il primo periodo della vita. Sebbene il picco di massa ossea venga raggiunto attorno ai 30-35 anni, è bene precisare che il 90% del calcio nelle ossa viene depositato dalla nascita fino ai circa 20 anni di età.

Come già detto nel corso della trattazione, più la densità minerale raggiunta durante il picco sarà alta, minore sarà il rischio di incorrere in osteoporosi e osteopenia in età avanzata: è lecito, pertanto, chiedersi quale sia il ruolo preventivo dell’alimentazione nei confronti della fragilità ossea.

Il tessuto osseo è costantemente interessato da processi di rimodellamento che prevedono l’alternarsi di fasi di riassorbimento e fasi di deposizione di calcio nell’osso. Quest’ultima nello specifico richiede la presenza di elementi e minerali che il corpo umano non è in grado di sintetizzare ex-novo e che devono essere quindi introdotti con la dieta.

Si può infatti affermare che un adeguato apporto di calcio unitamente ad altri minerali e alla vitamina D sia in grado di sostenere la deposizione ossea e conseguentemente portare ad un corretto sviluppo del tessuto osseo e di densità minerale. È dunque importante, soprattutto nei bambini e adolescenti, garantire gli apporti di tali nutrienti seguendo una dieta e uno stile di vita corretti.

La domanda sorge ora spontanea: “quali sono i fabbisogni da soddisfare?”. Ci vengono in aiuto i LARN (livelli di assunzione di riferimento di nutrienti ed energia per la popolazione italiana), che oltre a dare indicazioni relativamente al metabolismo e calorie per soggetti di tutte le età, forniscono altresì i livelli di assunzione per i macronutrienti quali carboidrati, proteine e grassi e per i micronutrienti, tra cui il calcio e la vitamina D.
I fabbisogni di calcio e vitamina D sono correlati alle diverse necessità fisiologiche sulla base dell’età e del sesso. Essi sono rappresentati di seguito:

Analizzando gli apporti di riferimento per il calcio, si osserva che i fabbisogni del minerale risultano massimi fino all’età di diciotto anni, così da permettere il corretto sviluppo del sistema scheletrico, si stabilizzano in seguito in età adulta ed infine subiscono un nuovo incremento al di sopra dei settantacinque anni per gli uomini e in concomitanza dell’inizio del periodo post-menopausale per le donne. Tale differenza tra uomo e donna è giustificata da una maggior erosione dell’osso, concomitante ad una riduzione dell’assorbimento intestinale di calcio provocata dal deficit di estrogeni che insorge durante la menopausa.

Per quanto riguarda invece il fabbisogno di vitamina D, i livelli indicati dai LARN tengono in considerazione sia gli apporti dietetici, sia la sintesi endogena della vitamina in seguito all’esposizione solare. È curioso osservare come anche in questo caso le raccomandazioni per fascia d’età assumano lo stesso andamento di quelle per il calcio; si può dunque constatare che i fabbisogni di vitamina D per la popolazione anziana siano leggermente superiori se comparati a quelli dell’età adulta.

La popolazione è in grado di rispettare tali indicazioni? Nel tempo sono stati condotti alcuni studi per indagare i reali apporti dietetici di calcio e vitamina D nella popolazione italiana. Da tali studi è emerso che le reali assunzioni di calcio sono inferiori di circa il 30% rispetto alle linee guida riportanti le quantità raccomandate. Per quanto riguarda invece la vitamina D, al momento non esistono studi validi riguardo la quantificazione della sua assunzione dal momento che è difficile andare a dosare la quantità di vitamina prodotta per via endogena. Per ovviare a tale problema è preferibile avvalersi del dosaggio ematico eseguibile con un prelievo di sangue. Per mezzo dell’attività di ricerca è stato possibile stabilire intervalli di concentrazione che risultano essere correlati allo stato vitaminico dell’individuo.

Alimentazione e osteoporosi

Come abbiamo visto, una carenza di calcio e/o vitamina D, incrementano le probabilità di insorgenza della patologia. Al momento non sono disponibili protocolli dietetici appositamente strutturati allo scopo di prevenire l'osteoporosi, tuttavia è inevitabile che l’alimentazione giochi ruolo determinante per la prevenzione.

Il calcio, elemento fondamentale per il mantenimento di un buono stato di salute dell’osso, è contenuto in svariati alimenti e in differenti concentrazioni. Gli aspetti da tenere in considerazione sono la quantità e la biodisponibilità del minerale. Con il termine biodisponibilità si fa riferimento a quanto calcio presente in un dato cibo sia realmente assorbibile a livello intestinale. Inoltre, un elevato apporto di calcio in accoppiata a una ridotta presenza di vitamina D, ne vanifica i potenziali effetti positivi.

Le fonti alimentari che contengono la maggior quantità di calcio sono il latte e i suoi derivati; il latte stesso, i formaggi e lo yogurt ne sono ricchi. Con l’attuale diffusione dei prodotti vegetali, è doveroso ricordare che le bevande vegetali quali ad esempio il latte di avena, il latte di mandorla, latte di riso ecc. vengono rafforzati addizionando una quota di calcio. Rimanendo nel regno vegetale, molteplici alimenti quali ad esempio frutta secca, legumi, verdure contengono ottime quote di calcio, sebbene la loro biodisponibilità risulti inferiore rispetto a quella di latte e derivati.

Per quanto riguarda la vitamina D, essa purtroppo non è presente in larga misura negli alimenti. Alcune tra le fonti più ricche sono i pesci azzurri e i pesci grassi quali ad esempio il salmone, l’aringa, lo sgombro e il tonno, mentre invece i prodotti lattiero caseari ne sono molto poveri.

In conclusione è possibile affermare che uno stile di vita sano e un’alimentazione equilibrata, unitamente ad una buona esposizione solare siano in grado di porre le fondamenta per strutturare correttamente l’apparato scheletrico e mantenerlo in salute.

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