IL DIGIUNO INTERMITTENTE
Negli ultimi anni risultano sempre più studiate ed utilizzate strategie dietetiche che sfruttano la manipolazione del tempo per cercare di perdere grasso corporeo e migliorare lo stato di salute: il digiuno intermittente rientra nei modelli temporali che limitano l’apporto calorico a periodi specifici della giornata o estendono l’intervallo tra i pasti.
In questo articolo cercheremo di comprendere in maniera generale che cos’è il digiuno intermittente, quali sono le sue applicazioni ed i principali metodi.
- Il digiuno nell’evoluzione dell’uomo
- Cosa si intende per digiuno
- Le diverse strategie di digiuno intermittente
- Restrizione calorica e digiuno, sono la stessa cosa?
- Le basi fisiologiche del digiuno
- I benefici del digiuno
- Relazione tra digiuno e riduzione del tessuto adiposo
- Digiuno ed effetti collaterali
- Conclusioni
Il digiuno nell’evoluzione dell’uomo
Analizzando il contesto evoluzionistico dell’essere umano, è possibile osservare che il passato è sempre stato caratterizzato da una forte alternanza tra disponibilità e scarsità di cibo.
Prima che l’uomo potesse conservare in modo efficiente le scorte di cibo, gli adattamenti fisiologici e comportamentali per sopravvivere a periodi di limitazione alimentare hanno portato all’inevitabile sviluppo di alcuni periodi di digiuno.
Inoltre, risulta interessante notare come l’uomo sia stato dotato di una soluzione estremamente efficiente per far fronte a periodi di mancato approvvigionamento: il fatto di poter immagazzinare il cibo sotto forma di grasso nel tessuto adiposo, ha permesso all’uomo di sopravvivere a periodi di digiuno prolungati.
Anche i carboidrati possono essere immagazzinati e “conservati” sotto forma di glicogeno a livello epatico e muscolare, tuttavia la resa energetica di questo meccanismo non è assolutamente sufficiente per sopravvivere a periodi di digiuno prolungati: durante il digiuno le scorte epatiche di glicogeno vengono esaurite in circa 24 ore.
Infine, ricordo che a differenza di carboidrati e grassi, all’interno del nostro organismo non esistono “riserve” di proteine che vengono immagazzinate con il cibo.
In conclusione, è possibile comprendere come l’uomo dal punto di vista evoluzionistico, si sia adattato nel tempo per essere in grado di funzionare senza cibo per lunghi periodi di digiuno.
Cosa si intende per digiuno
Il digiuno viene definito come l’astinenza volontaria o la forte limitazione dell’ingestione calorica per un periodo di tempo più o meno limitato. Il digiuno intermittente è un modello alimentare (e non una dieta) che alterna periodi di digiuno e alimentazione. Infatti, non essendo una dieta, non vengono specificati quali alimenti consumare, ma piuttosto quando consumarli.
Le diverse strategie di digiuno intermittente
Esistono svariati protocolli di digiuno intermittente che suddividono la giornata o la settimana in periodi di alimentazione e astinenza da cibo.
Alcuni tra i metodi più comuni sono il digiuno a giorni alterni di 24 ore, l’alimentazione a tempo limitato e il metodo 5:2.
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Alimentazione a tempo limitato: questa tipologia di digiuno prevede di mangiare solo durante alcune ore del giorno, impostando un coerente apporto calorico giornaliero da consumare all’interno di una finestra temporale di 8-18 ore. Ad esempio, è possibile svolgere la colazione al mattino verso le ore 08:00, il pranzo e la cena prima delle ore 20:00, prevedendo così un digiuno di circa 12 ore. Infatti, questo programma è in grado di allineare l’assunzione di cibo con i ritmi circadiani.
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Digiuno a giorni alterni: in questo caso è prevista l’alternanza di 24 ore di digiuno (con sola acqua) a 24 ore di alimentazione.
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Digiuno periodico: ad esempio il modello 5:2. Questo metodo prevede un digiuno di 24 ore due volte a settimana, combinato ad una dieta VLCD (ovvero a bassissimo contenuto calorico) consumata 5 giorni a settimana.
Ovviamente questi metodi possono essere personalizzati in base alle proprie necessità.
È importante specificare che la ricerca sul digiuno intermittente è ancora incerta circa i suoi reali benefici rispetto alla classica alimentazione bilanciata: sono ancora assenti studi che indichino i suoi effetti sul lungo periodo, tuttavia alcune evidenze dimostrano che il digiuno intermittente può essere efficace nella perdita di peso (nel breve termine), può ridurre l’insulino resistenza e migliorare la salute cardiovascolare e metabolica.
Nella tabella vengono riassunte alcune strategie di digiuno intermittente e le relative peculiarità.
Restrizione calorica e digiuno, sono la stessa cosa?
La risposta è no!
Risulta pertanto fondamentale comprendere la differenza tra restrizione calorica ed i modelli di digiuno intermittente.
La restrizione calorica è una riduzione dell’apporto energetico totale che non si traduce in malnutrizione: nel soggetto in sovrappeso è stato largamente dimostrato che la restrizione calorica a breve termine (circa 6 mesi), oltre alla riduzione del peso corporeo, migliora significativamente molti fattori di rischio cardiovascolare, la sensibilità insulinica e la funzione mitocondriale; tuttavia gli ultimi studi di intervento sull’obesità, dimostrano ampiamente che la maggior parte degli individui ha difficoltà a sostenere la restrizione calorica quotidiana per lunghi periodi di tempo.
Il digiuno intermittente, a differenza della semplice restrizione calorica, si riferisce a modelli alimentari (e non vere e proprie diete) che puntano ad uno schema basato sui periodi di tempo, con il consumo di poche (o anche nessuna) calorie.
Ovviamente questi digiuni sono volontari e hanno una durata ben prestabilita.
Le basi fisiologiche del digiuno
La fisiologia del digiuno è sicuramente molto affascinante e si basa principalmente sulla competizione per l’ossidazione tra acidi grassi e glucosio.
Il ciclo di alimentazione si basa su 4 fasi:
- Fase di alimentazione;
- Fase post-assorbitiva (o digiuno precoce);
- Fase di digiuno;
- Fase di appetito (o digiuno a lungo termine);
È bene ricordare che il glucosio è la principale fonte di energia per la maggior parte dei tessuti del nostro organismo (soprattutto il cervello): in seguito ai pasti, il glucosio viene utilizzato per produrre energia e il grasso viene immagazzinato sotto forma di trigliceridi nel tessuto adiposo.
Quando avvengono periodi prolungati di digiuno, le scorte di glicogeno epatico vengono esaurite ed i trigliceridi del tessuto adiposo vengono convertiti in acidi grassi e glicerolo, che vengono successivamente utilizzati per produrre energia: il fegato converte gli acidi grassi in corpi chetonici, che durante il digiuno diventano una delle principali fonti di energia per molti tessuti (come anche il cervello).
Durante il modello digiuno intermittente, il soggetto passa frequentemente tra la fase di alimentazione, la fase post assorbitiva e quella di digiuno.
L'insulina è il principale ormone che viene secreto nella fase di alimentazione, grazie al quale l'organismo è in grado di utilizzare il glucosio come fonte energetica.
Al contrario, durante la fase di digiuno, il glucagone è l'ormone antagonista che l'organismo utilizza per ossidare le riserve epatiche di glicogeno e produrre energia.
Comprendiamo quindi che i vantaggi metabolici del digiuno entrano in gioco quando le riserve epatiche di glicogeno vengono esaurite dal bilancio energetico negativo e vengono sfruttati come substrato energetico gli acidi grassi: in genere questo meccanismo entra in gioco dopo circa 12 ore di digiuno.
Questo “interruttore metabolico” che permette all’organismo di passare dell’utilizzo di glucosio a quello dei chetoni derivati dagli acidi grassi, rappresenta un innesco evolutivo che orienta il corpo dalla sintesi di lipidi, alla mobilizzazione dei grassi attraverso l’ossidazione degli acidi grassi e chetoni.
Per queste ragioni è stato ipotizzato che i regimi di digiuno intermittente abbiano il potenziale di migliorare la composizione corporea negli individui in sovrappeso.
I benefici del digiuno
Durante il giorno di digiuno, i chetoni aumentano in maniera progressiva e i livelli di glucosio plasmatici rimangono perennemente ridotti; al contrario, nel giorno del consumo di cibo, i chetoni rimangono costantemente bassi e i livelli di glucosio si alzano, soprattutto vicino al consumo del pasto.
Questo vero e proprio switch metabolico avviene dopo 12 ore di digiuno e rimane attivo nel soggetto per circa 6 ore, fino a quando il cibo non viene consumato nuovamente.
Questo passaggio metabolico che è possibile ricercare attraverso il digiuno intermittente, potrebbe tradursi in un miglioramento metabolico e dello stato di salute: alcuni studi osservano dei risultati promettenti (anche se solo limitatamente agli animali da esperimento), di conseguenza la loro valenza rimane promettente ma realmente poco significativa.
Alcuni studi dimostrano come l’aumento dell’AMP e la riduzione dell’ATP cellulare (con conseguente attivazione dell’AMPK) inibisce numerose vie anaboliche e stimola le reazioni cataboliche dell’autofagia, eliminando le proteine e gli organelli danneggiati e migliorando la funzione mitocondriale.
Inoltre una riduzione degli aminoacidi circolanti e del glucosio inibisce mTOR e porta a una ridotta sintesi proteica, un aumento della biogenesi mitocondriale e dell’autofagia.
Infine durante il digiuno viene stimolata l’attività NAD+ deacetilasi delle sirtuine, con conseguente autofagia e riduzione dello stress ossidativo.
Tutti questi percorsi insieme porterebbero al miglioramento dello stato di salute.
Come già anticipato ci tengo a ribadire che questi risultati a breve termine non devono essere presi come assoluta verità, ma rimangono utili dati osservati esclusivamente su modelli animali e quindi dalla ridotta valenza scientifica.
Anche se il digiuno è una pratica molto antica, risalente a vecchie tradizioni e praticata da molte culture e religioni, ultimamente il suo utilizzo vede come protagonisti numerosi studi clinici mirati a contrastare l’obesità, le malattie cardiovascolari, l’ipertensione e il diabete mellito di tipo 2.
Purtroppo, anche in questo caso non esiste un numero sufficiente di studi a lungo termine per valutare se il digiuno intermittente possa realmente essere efficace per queste patologie sul lungo periodo.
Relazione tra digiuno e riduzione del tessuto adiposo
Ultimamente viene molto indagato il ruolo del digiuno nella perdita di peso, in particolar modo del tessuto adiposo viscerale. Quest’ultimo agisce sia come organo paracrino che endocrino, attraverso la secrezione di alcune adipochine.
Queste molecole possono essere pro infiammatorie, come la famosa leptina, o anti infiammatorie, come ad esempio l’adiponectina.
La leptina svolge un importante ruolo nella regolazione del peso corporeo attraverso la segnalazione a livello ipotalamico, sopprimendo l’assunzione di cibo e aumentando il dispendio energetico.
L’adiponectina agisce su molteplici recettori, con un conseguente aumento del muscolo scheletrico e dell’ossidazione degli acidi grassi, riduzione della gluconeogenesi e aumento dell’assorbimento di glucosio: risulta curioso notare che i livelli di adiponectina si riducono in proporzione all’accumulo di grasso viscerale.
Per quanto riguarda il digiuno intermittente, gli ipotetici effetti benefici in relazione all’obesità sono correlati al passaggio dall’utilizzo di glucosio agli acidi grassi e ai chetoni endogeni come fonte energetica preferenziale.
Ormai è più che dimostrato che se con il digiuno si instaura anche un deficit energetico, l’adiposità (in particolar modo il grasso viscerale) viene ridotta.
Infatti le ultime evidenze dimostrano che se paragoniamo il digiuno intermittente ad una dieta ipocalorica a restrizione giornaliera, i risultati in merito alla perdita di peso e agli indicatori di rischio per le malattie cardiovascolari sono i medesimi. Inoltre sul lungo periodo il rischio di abbandono per i soggetti che seguono un digiuno è maggiore rispetto a quelli che sfruttano una restrizione calorica giornaliera. Comprendiamo dunque che il fattore principale che permette la riduzione del peso corporeo e la migliorazione della condizione del soggetto obeso, è assolutamente il deficit calorico e non la strategia utilizzata. Anche se nel breve periodo le strategie di digiuno intermittente sono risultate relativamente pratiche nella vita quotidiana (anche in termini di miglioramento della salute metabolica) nel lungo periodo la gestione diventa molto più difficoltosa e ritroviamo il forte condizionamento del fattore sostenibilità, che attualmente sembrerebbe remare contro questo approccio, soprattutto per fattori legati alle influenze sociali, all’ambiente e all’individualità.
Digiuno ed effetti collaterali
Solitamente vengono esposti solo gli effetti benefici che il digiuno intermittente porta a livello del nostro organismo, tuttavia anche questo approccio non è esente da effetti collaterali: alcuni degli effetti avversi che vengono riportati comunemente riguardano l’ipoglicemia, le vertigini e l’astenia.
Risulta doveroso specificare che queste complicanze solitamente sorgono quando il digiuno è accompagnato da una forte restrizione calorica.
In ogni caso, il digiuno intermittente non è assolutamente raccomandato in:
- soggetti con squilibri ormonali;
- donne in gravidanza o allattamento;
- bambini;
- anziani;
- soggetti con compromissioni immunitarie;
- individui con disturbi alimentari.
Conclusioni
Il digiuno intermittente ha mostrato effetti positivi sulla perdita di peso, sulla riduzione della resistenza insulinica e sui fattori di rischio cardiovascolare: questo accade perché l’atto del digiuno porta ad una restrizione calorica che risulta funzionale al dimagrimento ed al ritorno ad un peso sano.
Attualmente non esistono importanti evidenze che dimostrino che il digiuno intermittente produca benefici aggiuntivi rispetto ad un’alimentazione sana e con pasti regolari.
Inoltre, non sembrerebbe apportare una maggiore perdita di peso rispetto ad una classica restrizione calorica giornaliera: al contrario, ci sono evidenze che grandi periodi di digiuno possono aumentare il rischio di sviluppare episodi di abbuffate.
Prima di intraprendere qualsiasi tipo di dieta o approccio alimentare è fondamentale richiedere il parere di un professionista della nutrizione che, in base agli obiettivi, allo stile di vita e allo stato di salute, saprà indicare la strategia nutrizionale più adeguata.